Il potere evocativo degli epitaffi, una riflessione sull'eredità dei testi incisi sulle lapidi, dove le parole diventano ponti tra presente e passato.

Gli epitaffi, la storia

Quando ci troviamo in un cimitero, non possiamo evitare di notare alcune iscrizioni dedicate ai defunti, siano esse posizionate su tombe storiche o su lapidi recenti. Sono gli epitaffi.

L'epitaffio, comunemente inteso come la scritta incisa sulla lapide, ha in realtà una storia e una lunga tradizione che si è tramandata fino ai giorni nostri.

La parola "epitaffio" deriva dal greco "epitàphios", composto dal suffisso "tàphos", che significa "tomba", e dal prefisso "epì", che significa "sopra".

In seguito, questa parola passò al latino come "epitaphium" che significa "discorso funebre" e fa riferimento a quei componimenti che hanno lo scopo di elogiare il defunto. Queste frasi possono variare da dettagliate descrizioni della persona a frasi spesso enfatiche narranti qualità e imprese.

L'epitaffio trova le sue origini nei discorsi funebri dell'antica Grecia, durante i quali si rendeva omaggio agli eroi nazionali, condottieri e guerrieri. Nell'antica Roma questa pratica proseguì per lungo tempo e spesso veniva confusa con la "laudatio funebris”, un ricordo pronunciato da un conoscente o da un parente del defunto.

L’epitaffio come espediente narrativo

Celebri poeti, come Marziale e Catullo, si cimentarono nella scrittura degli epitaffi, i cui versi sono ancora impressi sui libri e nella memoria collettiva. Solo in tempi più recenti l'epitaffio iniziò a essere considerato principalmente come un'iscrizione commemorativa. In Italia, a partire dal Trecento, l'epitaffio in forma orale iniziò progressivamente a essere abbandonato. Col tempo, divenne sinonimo di ciò che veniva scritto sulla lapide, equiparato all'epigrafe. In un certo senso, l'epitaffio rappresenta la quintessenza dell'epigrafe.

L'epitaffio è un espediente narrativo che nel corso del tempo è stato utilizzato anche in contesti al di fuori di quello funebre.

Lo scrittore Edgar Lee Masters, nella celebre raccolta "Antologia di Spoon River", trasformò gli epitaffi in poesie: ciascuna poesia racconta la vita degli abitanti di Spoon River, i loro desideri, i loro fallimenti.

Epitaffi celebri e ironici

L’epitaffio è di fatto l’ultima parola, l’ultima battuta, e in molti hanno approfittato di questa possibilità per lasciare un segno nel mondo.

Tra i più celebri c’è quello di Alessandro Magno che in poche parole racchiude la sua intera vita di conquista: “un sepolcro basta a colui al quale non bastava il mondo”. Di una potenza e di una efficacia inaudita l’epitaffio di Primo Levi: “174517”, il numero che l’autore aveva tatuato sul braccio.

Non tutti gli epitaffi sono solenni; ci sono esempi nel mondo e anche in Italia che hanno una nota originale, divertente!

Tra i più famosi c’è l’epitaffio di Werner Heisenberg, fisico tedesco, famoso per gli studi di meccanica quantistica che recita “giace qui da qualche parte”. Celebre anche quello di Frank Sinatra, “il meglio deve ancora arrivare” o quello di George Bernard Shaw, scrittore e drammaturgo che dice “sapeva che qualcosa di simile sarebbe successo se avesse aspettato abbastanza a lungo”.

In Italia sulla tomba di Franco Califano, per esempio, si trova la simpatica frase "Non escludo il ritorno", mentre su quella di Walter Chiari c'è scritto "Amici non piangete... è solo sonno arretrato".